lunedì 20 giugno 2011

Istruzioni inquiete per provare a Risorgere

Prove tecniche di resurrezione mercoledì 22 giugno, ore 21, presso la creativa corte della Libreria-Concept Store Interno3 di Reggio Emilia in via Dei Due Gobbi 3 (info @ 0522.451459).

Un appuntamento d'inizio estate con il musicista, scrittore e artista multidisciplinare Massimo Zamboni, il quale sarà intervistato dal sottoscritto à propòs di tale sua ultima fatica letteraria recentemente edita da Donzelli nella collana "Poesia".

Anti-personaggio storico del rock italiano dell'ultimo trentennio, il suddetto ha fatto scuola a generazioni indie (e non) grazie ai gruppi CCCP e CSI, da lui fondati e animati assieme a Giovanni Lindo Ferretti – altra bella personalità e avventuroso animo.
I due, di darsi a una libera (o libertaria...) docenza siffatta, neanche ci pensavano e neppure invero l'hanno fatto. Fatto sta che se si vogliono intendere un po' ammodo – a partire dai quantomai mitizzati o strapazzati anni '80 – dei caratteri evolutivi della nostra musica Pop Rock Punk & Co. e addirittura pure dell'arte in genere, oltreché della stessa Storia (udite! udite!) d'Italia, bisogna passare proprio da loro. O, perlomeno, è altamente consigliabile. Di certo, il trip rischia di sorprendere e affascinare, schiudendo feconde visuali eterodosse sul passato.

Intanto, si passi però dal più riccioluto e introverso della strana coppia: sperimentatore curioso e impavido che, col nuovo millennio, ha fatto emergere un talento poliedrico di letterato e romanziere pubblicando con grandi case editrici così come con piccole e indipendenti.
Nei suoi componimenti, scritti e romanzi, uno degli elementi cardine (se non quello decisivo) è il tòpos del viaggio: espressione di inquietudine esistenziale e di domande disparate in diuturno movimento (ma scordatevi ottocentesche romanticherie, cocchi!) che infatti, nella raccolta poetica ora in questione, si sono riversate in un attraversamento zingaro tutt'altro che riepilogativo – arricchito, anzi, di scritture di complemento ed espansione dei testi concepiti per gli ultimi tre suoi album musicali da solista. Perché mettere su carta le parole di canzoni, senza il supporto della musica, è indubbiamente un piano diverso di prospettiva; significa esporle con coraggio in tutta la loro vergata nudità affinché possano reggere l'urto di una ricezione meno mediata, per verificarne quindi la forza di comunicazione intersoggettiva e l'impatto emotivo capace, in potenza, di creare scosse interne in chi è desideroso di cambiamenti. Ovvero, in colui che serba in sé il seme di mille e una Resurrezioni ad altre vite continuamente a venire: ogni volta elevate di livello, dimensione e rischiarante luminosità.  Meglio se traversando il buio o crepacci di crisi e isolamento, poiché il dislivello genera maggiore energia e intensità.

Un incontro live, quello di mercoledì 22 giugno, consigliato pertanto a tutti gli amanti dei pensieri acuminati e profondi, levigati e scavati da interrogativi talvolta impietosi, senza sconti, com'è giusto che sia del resto quando si è in cerca di un'autenticità di vita. Ed il Nostro, decisamente è in cerca; e mica sta tanto lì a contarsela o a lamentarsi di 'sti tempi smarriti nella vacuità e nell'apparente mancanza di orizzonti alternativi a quelli dati e di già bruciati o occlusi.
Non per niente, parte consistente del suo tempo lo dedica alla terra facendo il contadino: curandosi perciò della nascita, crescita e perpetuazione cangiante della flora, della fauna, della specie vegetale e animale (tra cui v'è, orbene, l'essere umano), puntando a una docile assidua consonanza con ritmi, tempi e manifestazioni della Natura.

Sicché, in fondo, questo incontro live è consigliato a chiunque: basta ci sia voglia e desiderio di aprirsi e  rinnovarsi.
Per cui, disporsi ad ascoltare è essenziale. Semina dell'attenzione a Conoscere, Scoprire e Imparare.



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martedì 7 giugno 2011

Non tutto il Malick vien per nuocere


Ignoro se The Tree of Life del regista Terrence Malick, l'ultima Palma d'Oro al Festival del Cinema di Cannes, sia un capolavoro.

L'insigne e venerabile filosofo Emanuele Severino – dall'alto dei suoi millenari 80 e più anni – sul "Corriere della sera" lo annovera tra le "opere di genio" citando Leopardi e, in seguito, scomodando tragedia e miti antichi.
Detto da lui, ha un suo carisma e gnoseologico appeal.

Dello stesso avviso non saranno quegli spettatori che – neanche fossero misteriosi ladri di Nutella® scovata sotto i sedili – l'altra sera ho auscultato via via defilarsi quatti quatti dalla sala cinematografica a partire dalla prima mezzoretta mezzoretta di proiezione del film.

Sicuramente, Terrence Malick è un matto.
Un matto di quelli sopraffini, però; ai quali vale la pena prestare Ascolto Visione e Interiorità per arricchirsi di prospettive nuove e diverse, al di là di ogni categoria di comodo o etichetta. Figuriamoci poi se sono quelle dei premi, delle discettazioni filosofiche o di una crema spalmabile alla nocciola (e neppure di quelle più buone)...

Senonché, lo capisci che è matto – stupendamente matto... – quando senti dalle casse la voce off di una madre scossa da un tragico lutto che inizia a invocare pregante la divinità, affinché sia d'ausilio agli esseri umani; mentre sullo schermo procedono a rovesciarsi immagini stupefacenti di panorami interstellari, intervallate ad altre di paesaggi cosmici, multicolori lande incredibili ed esistenze polimorfe tolte dal mondo naturale e micro/macro-biologico, oltre a quello atmosferico: tra cascate d'acque e nuvole in viaggio, soli in galattico movimento e flemmatici pianeti osservanti, chiosati da informi spettri luminosi.
Come se, davvero, si volesse visualizzare la preghiera umana; i sommovimenti cioè dello spirito irrequieto, che viaggia lungo le molte dimensioni della realtà esistente per trovare quelle porte ultraterrene a cui arrivare al fine di ricevere asilo e scoprire risposte oppure domande semplicemente migliori in grado di schiudere alla luce di Sé o dell'altro da Sé.
Un di più, ossia, un Oltre più vasto e illuminante rispetto alle oscure limitatezze di quel che si è qui e ora.

Impossibile perciò – dicono gran parte dei critici vigenti, malnata razza di luridi pigroni – raccontare la trama di The Tree of Life.
Cazzata!, dico io: si può fare, o almeno tentare.
Difatti è la storia di un conflitto interiore: quello di un bambino texano dei retrivi anni '50, diviso tra un padre autoritario (perché frustrato) e una madre oltremodo amorevole ma al contempo incapace d'infondere tempra e vigore al figlio attraversato da fanciulle fragilità.

"Papà, mamma, voi due siete in lotta dentro di me e lo sarete sempre", questa la frase cardine del film, pronunciata fuori campo dal ragazzino che lo si vede altresì da adulto con il volto assorto di Sean Penn, trafitto di vissutissime rughe e ancora con la mente ingombrata dal pensiero del suo dissidio.
Ed eccolo così affrontarne, alla fine, le metaforiche rade deserte – novello Mosé inseguito dall'Egitto del suo lacerato passato –  sino ad approdare alle rive di un proprio intimo Mar Rosso, di là da cui c'è la personale Terra Promessa.
Perché quel mare è invero specchio d'acque che riflette appunto ciò che ognuno è, desidera e vuole, portando a galla quanto si nasconde nelle profondità. È flusso molteplice di correnti che racchiude tutte le scelte e possibilità che ciascun individuo è e soprattutto può essere oppure surfare, in raccordo ondoso e danzante con gli altri, il mondo e la vita.

Del resto, in ogni frame di questa "opera di genio" vi spira l'anima delle pagine sacre della Bibbia: però in quanto libro sapienziale e non astrattamente religioso; codice simbolico da interpretare e quindi sistema di connessione capace di comunicare in maniera immediata con la sfera spirituale – abissale/vertiginosa – dell'individuo. Battendo dunque in breccia rigidità e contingentamenti della ragione per affidarsi, invece, all'onda limpida dell'autenticità: che è scoperta stupita dell'emozione di ritrovarsi nella grazia di ciò che si è e non si è ancora mai stati, ma che in qualunque istante si può scegliere di voler essere. Abbracciandone il bagliore tenue che lo rivela nella tenebra del mero esistere.



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