venerdì 6 gennaio 2012

La Resurrezione delle parole

Lo so, lo so... C'è appena stato Natale col suo Gesù Piccino, San Silvestro e subito appresso "Maria Madre di Dio" al dì n. 1 dell'Happy New Year. Diversamente, oggi 06/01 è l'Epifania di "Nostro Signore" e domenica ecco che, calendario gregoriano alla mano, v'è il battesimo del millenario poppante sunnominato – e sunnominato, spero (anzi, prego...) non invano.
Eppure in controtendenza alle recenti tendenze gregoriane del calendario che riportano nascite, fini, ancora nascite e battesimi fra Santi però tutti morti (e allora perché non metterci pure la Befana? ...ah, già! perché la Befana è viva, esiste ancora... siòcco adulto che sono!), voglio invece epifanizzare qui una sorta di discorso pasquale giacché concerne il concetto e una pratica non metaforica della possibilità di risorgere. Sì, avete capito bene: "possibilità di risorgere".

Un discorso tutt'altro che scontato e/o – ad onta delle apparenze – rassicurante di fronte a un'annata che, con buona pace di chi va in vacanza a Cortina, si preannuncia apocalittica o perlomeno da "pianto e stridor di denti" come non mai. Ma se lo faccio, è in virtù di un libro di cui ho parlato mesi orsono e che ora torna quantomai necessario (nell'accezione piena del termine) affrontarlo più in profondità,
visto perlappunto l'arduo frangente. Considerando, inoltre, che se si tocca quel libro – come Walt Whitman insegna – si "tocca un uomo". Uomo che, nel nostro caso, dice di avere altresì scelto d'inserirvi dei brani inerenti certi luoghi precisi martoriati dalla Storia (Berlino, Mostar, Auschwitz-Birkenau) poiché "quello che succede a una persona può succedere a un popolo". E siccome il suo è stato un personale cammino di rinascita e rigenerazione, ne consegue allora l'urgenza di renderlo percepibile adesso e quindi condivisibile tramite la parola scritta, la quale "è un a tu per tu" – sostiene lui – "un gesto intimo" con chi si accinge alla lettura: attività, difatti, tipicamente connettiva con il proprio Sé e la dimensione degli altri intorno a ognuno di noi.
Anche per questo ero felice e sorridevo alla notizia dell'uscita della raccolta poetica, sopra evocata, di Massimo Zamboni (...Ecce Homo!) dal titolo Prove tecniche di resurrezione.
Che l'artista reggiano, del resto, approdasse alla pubblicazione di un libro di poesie era, per me, un alcunché di spontaneo. Esito naturale di un percorso multivoco e stratificato che la sua fuoriuscita dai gloriosi CSI - Consorzio Suonatori Indipendenti (dopo i leggendari CCCP) ha permesso di rivelarsi meglio, con maggiore nitidezza.

Si tratti quindi di musica indipendente ma riattivata a nuove collaborazioni, di scrittura romanzesca o reportage di viaggi e miraggi, di scorribande nell'ambito cinematografico o in quello della presentazione teatrale oltreché visiva, Zamboni esplora e cerca mondi espressivi che gli consentano di incontrare o scoprire dei fruttiferi "Perché?" piuttosto che delle risposte alle sue inquietudini e brigose irresolutezze.
Perciò nei componimenti del libro suddetto, si può osservare come le parole dei testi davvero s'incidano nello spazio bianco della pagina a scavare dei vuoti in grado di farne risuonare, di risaltarne maggiormente il segno, il corpo: insomma, un'indicazione investigabile di significati che, frattanto, iniziano a viaggiare.
E non è solo l'ossatura scarna di talune liriche (in specie nel capitolo Al cuore che rimane) che possono ricordare i procedimenti di un Ungaretti tesi a isolare parole o frasi apparentemente povere allo scopo di ipersignificarle, di sottolinearne la portata evocativa o drammatica o duramente interrogativa; bensì è anche lo smarginamento dei versi in passaggi riflessivi che lambiscono, di fatto, la prosa (il finale di Zero per tre, l’incipit de Il mio corpo è un passaporto falso, la lunghezza sregolata di certi versi di Pied Beauty) a dichiararne l'anelito ad articolare più vastamente un'indagine, ad attingere al colmo la vivezza di un moto emotivo nella sua semovente instabilità, ricorrendo a un siffatto prolungamento della scrittura versificata oltre una misura idealmente prestabilita.

Tant'è che, guarda caso, vi sono tre "testi narrati" a sorreggere l'impalcatura ariosa del volume, a cui s'aggiungono la Premessa e delle note d'autore a margine intitolate Onde improvvise di calore. Come a dire: la prosa e, nella fattispecie, l'articolazione verbale per espansione narrativa o esplicativa vengono in aiuto alla parola in sé – al pensiero emotivo forte, potente, ricercante, che essa desidera veicolare – integrandone l'esposizione e ampliandone il senso con degli elementi di riflessione e dei piani interpretativi e d'interrogazione ulteriori. Sino alla straordinaria storia finale de Le ceneri, e ritorno: memoranda dimostrazione di scrittura post-Resistenziale odierna su un viaggio di 700 studenti per il Giorno della Memoria in quel di Auschwitz-Birkenau. Un racconto che, alla fine, tira giusto le fila di un discorso sulla Poesia e il potere salvifico delle parole al cospetto dell'incombere di qualsiasi male si annidi all'interno delle nostre fragilità immemori.
Adorno sbagliava. Dopo Auschwitz, è obbligatorio scrivere poesia. Non tanto le filastrocche con le rime baciate; non tanto la sacrosanta forza della poesia come l’intendeva Emily Dickinson, il tuono che si concentra e tutto sgretola, mentre ogni cosa creata cerca rifugio. Dico la poesia dei corpi, dei volti, delle nostre essenze, quella che si scrive da sé, senza mediatori, capace di offrirsi ancora una volta come speranza. Quella che questa sera balla e strepita, e cerca e dà conforto. Siamo noi, la poesia. Anche dopo Auschwitz. Specialmente, dopo Auschwitz”.
La parola letteraria e creativa, dunque, s'incarna alfine nell'"essere umani" (Etty Hillesum docet), attivandosi proprio come dispositivo di salvezza e di Resurrezione, dopo essersi messa alla prova – grazie appunto a decine di pagine di prove tecniche... – per molteplici peripli fra la prosa e la composizione lirica;
tracciando segni in mezzo a spazi vuoti, per effluire poi nel profluvio del verbo narrante e riflettente con piglio, talvolta, saggistico (per quanto decisamente informale e partecipato) a indagare le ragioni di dolore e sconfitta nell'esperienza tribolata delle persone. Fino pertanto a recuperare miracolosamente, in conclusione, il potenziale autentico di luminosa magia delle parole stesse: capaci di cambiare lo sguardo di ciascuno su la Vita e la Morte, liberandolo dall'assuefazione alla vana indifferenza.
Compito supremo e grande della Letteratura - e dell'Arte tutta – che un artista vero, sincero, è stato in grado in tal modo di far risorgere alla nostra attenzione e alla nostra sensibilità, ormai deportate e sepolte da troppo tempo sotto le coltri confusionarie dello sterile chiacchiericcio smodato e dell'eccesso video-figurale di questa resistibile Era mass-mediatica.




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