mercoledì 9 novembre 2011

This is not The End, my Friend...

Dopo annate di complessivo orrore necrotico, benché l'ultima abbia manifestato bagliori d'incoraggiante rinascita (ma ne riparleremo...), è iniziata sotto i migliori auspici la mia Stagione di Spettatore Teatrale 2011-2012: e questo grazie al Laboratorio Permanente dell'Arte dell'Attore diretto da Domenico Castaldo.
Oddio! a leggere titolo e luogo dello spettacolo, a cui sono stato invitato a Torino (città, per eccellenza, di oscure pratiche esoteriche... uuuhhh!), meglio sarebbe stato auscultare (o auuuhhhscultare...) la parte superstiziosa di me e starmene nell'illuministica e illuminata Milano a bearmi delle sue luccicose vetrine, rassicurandomi ai fasti della sua razionale frenesia infra o finesettimanale, tra gli splendori scientisti dello shopping e dell'efficiente aperitivismo.

E invece l'allestimento di  WELCOMING - The end of the world all'austero Ex Cimitero Monumentale di San Pietro in Vincoli è stato tutto fuorché sventurato, iettatore o da rabbrividire; e men che meno aridamente razionalista o inutilmente fastoso. Anzi! Ne ricorderò senz'altro l'espressivo rigore e l'effusione radiosa da parte di Castaldo e dei suoi sette addestratissimi performer.

All'ingresso della suggestiva Zona Teatro dell'Ex Cimitero, questi accolgono amichevolmente gli spettatori facendoli sedere intorno a una scena di sole quattro sedie. Dall'alto, stesso numero di faretti a illuminare tanta sobrietà, in uno spazio bianco di spoglia essenzialità. La ricchezza, d'altronde, è data dal complesso di attori che rivestono la nudità spaziale di movenze danzate in coro, tessendo dintorno armonici canti multiligue altrettanto corali, fiorenti dai diversi passaggi recitati che traggono linfa da testi sacri, romanzeschi e poetici, sino all'affascinante Tao della Fisica di Fritiof Capra.


Un intarsio composito e stravagante (nel senso letterale di extra-vagante) che invita a orientarsi invece che a perdersi. La precisione e il palpabile affiatamento dinamico del gruppo, del resto, mobilitano allo stesso modo Cervello e Interiorità a coordinare visione e ascolto, pensiero e sentimento, nel Kaosmos coreutico così vividamente espresso. Il quale altro non è, poi, che la Babele meteca dei nostri giorni, l'esasperazione motoria e vociante della nostra post-contemporaneità, la confusione globale del nostro attuale mondo.
Un mondo oltremodo caotico, rumoroso e prossimo alla fine? – è il quesito che si staglia, frattanto, dalla scena alla (mia) mente – Destinato a finire nel gorgo del suo medesimo dimenarsi senza posa, in difetto di mete chiare e speranze di salvezza?

Si ride durante questa messinscena, bisogna rimarcarlo: aleggia una gioia del gioco teatrale che genera risate e sorrisi, colpendo con verve critica le pretese di credibilità dell'odierna società dello spettacolo.
Castaldo, infatti, recita un riluttante e smarrito presentatore di un presunto show à la 2012 sull'apocalissi universale. Egli è come impaurito dalla tematica e si nasconde; gli altri interpreti ne vanno in cerca, lo scovano, lo snidano e lo pungolano di continuo affinché venga allo scoperto, compia il suo dovere e così lo spettacolo si faccia.
Da lì, si dipana una spirale di situazioni virate volentieri su espressioni e registri comici o ludicamente straniti, oppure cantati e danzati tramite divertite coreografie da discoteca, in cui non mancano le prese in giro alle icone dello showbiz televisivo e politico. Ne consegue una demistificazione ironica tale da smontare e rendere, perciò, decisamente improbabili l'insieme delle vanitose ambizioni di verità e di sublime intelligenza diffuse con leggerezza global dai circuiti spettacolari del sistema mass-mediatico.

Mentre, al contrario, emerge l'umanità pulsante dei performer, intesi – oltre a quanto s'è descritto – a parlare di follia e salvazione, a gridare ispirati brani poetici o a riflettere sulle crisi mondiali e umane; sino all'eloquente epilogo in cui ci si rende conto che, in realtà, non c'è nessuna Fine perché Tutto continua. Sono soltanto le molteplici paure di ognuno di noi – in cui ci si nasconde e in cui dannatamente ci si vive – che, ogni giorno, ci fanno morire sempre un po' di più. Senza fine...




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